È sorprendente che l’enfant prodige del cinema d’oltralpe Louis Garrel sia solo alla quarta regia di un lungometraggio: guardando L’innocent, co-sceneggiato dallo stesso Garrel con Tanguy Viel e Naïla Guiguet, la sicurezza con cui la macchina da presa attraversa gli spazi in accordo ai tempi comici e a quelli più tesi stupisce. E sa divertire.

Passato al Festival di San Sebastián fuori concorso, il film è un sapido slalom fra i generi, che vira con sicura nonchalance fra thriller, commedia e sprazzi di dramma.

Quando sua madre Sylvie (Anouk Grinberg) perde la testa e sposa l’ex carcerato in libertà vigilata Michel (Roschdy Zem), Abel (lo stesso Garrel) non la prende bene. Pieno di dubbi e sospetti, decide addirittura di iniziare a investigare in proprio quando gli sposi annunciano l’intenzione di aprire un negozio di fiori in centro a Parigi, grazie al misterioso aiuto di un amico di Michel. La sera dell’inaugurazione del negozio, lo pedina e origlia la sua conversazione con un misterioso amico o socio d’affari, grazie al marchingegno dotato di gps al collare del cane dell’amica Clémence (Noémie Merlant). È inevitabile che decida di agire. Per ritrovarsi coinvolto in un rocambolesco colpo che ovviamente, fra risvolti farseschi e più di una sorpresa, non andrà come previsto.

Non ci sono eccessi, in L’innocent: il gusto è europeo, lo humour è acuto, mai grottesco. C’è un piacere insolito nel racconto di Garrel che rende il risultato difficile da classificare. Nel senso migliore del termine.

Svelando poco, o meglio poco alla volta, il film fatica a farsi catalogare, almeno nella prima parte. Giallo? Action comedy? Dramma familiare?

Poi, nella scena del pedinamento che strizza l’occhio alle spy story, Garrel usa lo split screen per mostrare i fatti e in contemporanea le reazioni di Abel. E in qualche modo viene in mente Hitchcock – pur con tutte le differenze del caso – e la sua capacità di creare tensione nel non svelare tutto, senza per forza rinunciare a guizzi leggeri.

L’innocent resta un film lontano, anche se non troppo, dalle dinamiche di Hollywood, ed è un marchingegno d’intrattenimento che non sfigura nelle selezioni festivaliere. Può accontentare il grande pubblico e quello d’essai anche (o forse soprattutto) perché non giudica, lascia da parte le contrapposizioni morali fra buoni e cattivi. Quanto è giusto perdonare Michel perché agisce essenzialmente per amore?

Il climax finale cresce sia in tensione sia in umorismo. L’intero momento nel ristorante della stazione di servizio è un riuscito mélange di suspense, humour e romanticismo. Chiuso da un’inverosimile e umoristica corsa contro il tempo e contro un amico doppiogiochista.

Il cast è superbamente amalgamato, la colonna sonora di Grégoire Hetzel efficace. Una boccata d’ossigeno nella maratona festivaliera di San Sebastián, un film che ama perdersi nella sua struttura narrativa complessa ma mai sfocata.



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